(di Livio Bramardi e Cristina Sampiero)
Fine febbraio. Dopo tanto brutto tempo, una domenica di fine febbraio un po’ assolata è un invito ad andar per Langa, a trovar amici; meglio, se questi hanno un buona trattoria. Ed allora si prenda la strada per Serralunga d’Alba; ai piedi della collina basta alzar lo sguardo e la mole del suo Castello si staglia tra i rami dei noccioleti, con il terreno ancora chiazzato di neve ma con i rami già carichi di “gatin”, i fiori maschili che lasciano al vento il compito di trasportare il polline. Appena sulla sommità della collina, ecco sulla sinistra apparire la Trattoria del Castello, degli amici Pier Luigi e Massimo Zunino: andar da loro è come andar a trovare un parente. Sapete, uno di quegli zii o cugini che hanno un grande senso dell’ospitalità e la fortuna di abitare in questi luoghi fantastici che sono le Langhe. A pranzo la deliziosa carne al velo, il roastbeef con una salsina da prima comunione, ma anche una divertente sorpresa: i capunet. Oggetto, a fine pasto, di teneri racconti: come erano fatti, quando si servivano ed il sapore. Un sapore fatto anche di antiche memorie: nonno Basilio, che all’inizio degli anni 50 scende dall’Alta Langa, Prunetto, a cercar fortuna a Serralunga. La piccola osteria, dove si servivano più gazzose che vino; e i pranzi e le cene solo poche volte all’anno, alle feste canoniche: al santo del Paese, alla merendina, alle leve. Anche, quando alle elezioni l’onorevole di turno offriva una merenda agli uomini; e se si era d’inverno, si servivano i capunet: foglie di cavolo ripiene di una farcia a piacere e cotti al forno. Nonno Basilio e gli zii ricordavano bene i capunet mangiati da bambini: delizie in cui le donne di casa avevano riciclato (ed esaltato) gli avanzi dei giorni precedenti. Ora, in onore dei clienti, si abbondava in carni e formaggio grattugiato (qualche anziano scuoteva la testa e parlava di “vissi”). Oggi i capunet che mi hanno servito erano da pranzo reale; e poi, con una novità che da alcuni anni si fa largo nella Langa: le nocciole. Gentilmente Pier Luigi, solo per gli amici della Confraternita, mi ha regalato la ricetta: non quella del nonno, ma la sua, che con orgoglio presenta tutte le domeniche invernali come antipasto ricco e raffinato.
La ricetta:
Togliere dal cavolo (che deve provenire da orto e non da supermercato) dodici foglie, le più esterne, e farle sbollentare per renderle malleabili; oppure farle cuocere a vapore. In una casseruola a parte fare un soffritto con cipolle, bello, saporito, aggiungere salsiccia e collo di maiale, il tutto ben cotto, ed anche il cuore del cavolo. Passare il tutto; per rendere la farcia consistente, aggiungere grana grattugiato e uova. Quando il ripieno è pronto metterne due cucchiai per foglia e avvolgere. Mettere i capunet in una teglia; su ognuno stendere una sottile foglia di formaggio Bra tenero. Ed ecco il tocco finale, moderno, che rende il piatto super: snocciolare delle nocciole e poi pestarle grossolanamente e spargerle sopra. Non siate tirchi, sentirete che delizia. Fate cuocere per 20 minuti circa nel forno e servite ben caldi.
Alla fine del pranzo due capunet avanzati ce li siamo gustati con un bicchiere di dolcetto di Serralunga. Il ritorno a casa è stato più lieve: bella la sensazione di aver trascorso una giornata memorabile, anche grazie ai capunet di Pier Luigi e Basilio.