Omaggio a Carlo Arpino
(di Livio Bramardi e Cristina Sampiero)
Settembre è una sinfonia di corolle gialle che spuntano nei posti più impensati: lungo le strade di campagna, negli incolti, nei mucchi di macerie di scavi, nei ripari elevati con terra a far da argini alle esondazioni. Con il loro giallo intenso segnano un po’ l’addio all’estate. Sono i topinambur o, in vernacolo, ciapinabò.
Le dimensioni di questi tuberi variano da quelle di un uovo di quaglia a quelle di un pugno. Bitorzoluti e molto antipatici da pelare, ricordano il rizoma dello zenzero e sono ottimi in cucina. Non hanno rivali in queste giornate di novembre quindi, salutata l’estate di San Martino, ho chiesto ai miei amici di Ceresole, Daniele e Angelo Bonetto, di procurarmene qualcuno. Detto fatto, è partita la ricerca di questa sorta di patata e, con il determinante suggerimento della nonna, che ha mantenuto il suo campo immune da pesticidi e veleni, i miei amici, con un po’ di fatica, mi hanno accontentato e, venerdì scorso ne ho trovate due cassette piene zeppe sul banco a far bella mostra.
Con il trionfo della cucina povera il tubero, al pari della polenta, dei fagioli, delle zucche, delle rape e di tanti altri cibi tipici della cucina contadina, è diventato protagonista. Parte del successo deriva anche dai richiami di sagre tipo quella di Carignano (TO) dove il topinambur viene affettato come le chips e consumato a quintali…e non è un modo di dire, sono quintali veri.
A portare questo tubero nella cucina d’élite degli anni 1980 fu il compianto cuoco Carlo Arpino che, durante la sua esperienza come Chef, mise a punto un antipasto caldo che ancora oggi viene servito in Langa nel periodo autunnale:
Soffriggere abbondante scalogno in olio extravergine, aggiungete uno o due spicchi d’aglio. Unite al composto circa 200 grammi di filetti di acciuga dissalati e fateli sciogliere a fuoco lento fino ad ottenere una salsa tipo “bagna cauda”.
Imburrate una terrina di coccio, disponetevi il topinambur tagliato a fette alte mezzo centimetro in 2 o 3 strati e cospargete con la bagna.
Coprire il tutto con un sottile strato di pane grattugiato e completate con un filo d’olio. Cuocere in forno a 180 gradi per circa 30 minuti.
Servire caldo.
Vino suggerito un rosso robusto.Ottima, di certo, una barbera di 3 o 4 anni delle colline astigiane.
Una curiosità: Il topinambur ha conquistato anche un posto d’onore sul tavolo dove si gusta la più celebre salsa piemontese infatti, consumato crudo nella bagna cauda tradizionale, oggi compete con il cardo gobbo e con i peperoni quadrati che fino al suo arrivo l’hanno sempre fatta da padroni in questo piatto di gran classe.